INTRODUZIONE
Non mi faccio prete per
complimento, per far quattrini, per trovare comodità, onori, piaceri.
Guai a me! Ma piuttosto e solo per fare poi del bene, in qualunque modo, alla
povera gente.
Erano queste le intenzioni già chiare del piccolo
Roncalli, che, col fagotto in spalla e due lire in tasca, entrava nel Seminario
di Bergamo. Un povero sereno che si avvicinava totalmente a Dio per aiutare
tutta la povera gente che avrebbe incontrata nella vita. Probabilmente, quel
giorno, a undici anni appena, non aveva mai sentito le parole del Vangelo in cui
si riassume la missione stessa di Cristo: «Il Signore mi ha inviato ad
annunziare la buona novella ai poveri». Ma egli era già tutto in
quella volontà, in quello spirito.
Bergamo, detta «la
città più cattolica d'Italia» se non altro per le statistiche
anagrafiche della pratica religiosa, ha avuto una funzione decisiva nella
formazione del seminarista Roncalli. Non è vero che tutti i seminari si
somigliano. Molto dipende dagli uomini che vi sono educatori e maestri. A
Bergamo, specialmente in quegli anni, alla pratica si univa il senso di una
certa avanguardia nelle iniziative a carattere sociale che non si riscontravano
in nessun'altra parte d'Italia. Anche se il piccolo Roncalli non si rese subito
conto di questa condizione di favore in cui veniva a trovarsi, fu certo felice
di sentirsi finalmente in un ambiente che gli era congeniale, e che aveva
immaginato e desiderato da tanto tempo.
Pensava solo alla propria anima, e
cercava di conoscerla sempre meglio, per disporla a fare con serenità la
volontà di Dio. Nell'autunno del 1892 entrava nel Seminario minore; nel
1895 in quello maggiore. Il 24 giugno 1895 indossava per la prima volta l'abito
talare.
È difficile rintracciare qualcosa di controllabile, in quegli
anni, per quanto riguarda l'immagine fisica di Roncalli. La sua prima foto
risale ai venti anni d'età. Dal 1901 al 1920, ben poche sono le
fotografie che lo ritraggono. A parte alcuni gruppi sbiaditi in cui egli
è a malapena riconoscibile fra gli altri seminaristi, sembra che una
tenera e pudìca provvidenza abbia accettato pienamente il suo desiderio
di scomparire del tutto agli occhi del mondo, per vivere solo davanti a
Dio.
Tuttavia è proprio negli anni del seminario che ha inizio il
documento più prezioso e utile, da ogni punto di vista, per affrontare la
«storia d'un'anima» quale quella del futuro Giovanni XXIII e per
decifrare, nello stesso tempo, le condizioni ambientali disciplinari,
psicologiche in cui ha potuto maturare e svilupparsi la sua personalità.
Nel 1896 il seminarista Roncalli comincia a tenere un diario spirituale in cui
annota e chiarisce a se stesso i moti, le aspirazioni, le debolezze e le grazie
che riscontra nel proprio spirito. Pensa soltanto all'Anima, e scrive quella
parola con la maiuscola, con garbo istintivo, ma soprattutto con indicazione
ascetica molto chiara. Già dal 1895 aveva cominciato a trascrivere
consigli, massime, preghiere che venivano diffuse tra i seminaristi dai
direttori spirituali, dai predicatori, dagli insegnanti. Ma un vero e proprio
Giornale dell'Anima ha inizio nel 1896. E s'apre con un impegno di entusiasmo:
«Propongo e prometto di non accostarmi mai ai santi sacramenti per usanza o
con freddezza, e di non impiegare mai meno di un quarto d'ora per
prepararmi».
Il seminarista quindicenne accetta ed insieme modifica il
linguaggio tipico dell'ascetica dei seminari, ma senza rinunziare a quel tipo di
educazione spirituale popolare e sentenziosa che aveva già da bambino
imparato a gustare alla scuola del parroco Don Rebuzzini. Anche da Papa, non si
stancava di raccomandare alla gente le massime di perfezione cristiana ricevute
da lui stesso quand'era ragazzo. Il 4 novembre 1959, in un discorso, ripeteva
alla lettera i consigli di perfezione di Don Rebuzzini: «Nell'intimo nostro
vi è pace: al di fuori molte guerre. Assolta tutti: credi a pochi:
rispetta tutti. Non credere a tutto ciò che senti; non fare tutto
ciò che vuoi; non dare tutto quanto possiedi; non dire tutto ciò
che sai. Prega. Leggi. Fuggi. Riposa. Taci. Chi desidera raggiungere la beata
via del cielo, legga spesso in terra questi ammonimenti. Questo lo specchio
ascetico, messo in luce da Francesco Rebuzzini, ottimo parroco bergamasco del
villaggio di Sotto il Monte, dal quale abbiamo ricevuto il battesimo. Noi, che
fin dall'infanzia abbiamo ammirato in lui una viva figura di integerrimo
sacerdote, lo raccomandiamo, di tutto cuore alla meditazione degli alunni del
seminario, ai candidati degli istituti religiosi e a tutti coloro che o si sono
già consacrati a Dio, o seguendo qualunque altra strada tendono
generosamente alla santità attraverso una più alta forma di
spiritualità».
Il seminario resterà sempre uno dei suoi
pensieri più appassionati.
D'altronde, Roncalli ebbe la fortuna di
poter approfondire la propria esperienza di seminario nell'incontro con uomini
che con la loro ricca personalità riassumeranno tutti i suoi ideali
più positivi, dal vescovo mons. Gaetano Camillo Guindani (quello stesso
da cui aveva ricevuto la cresima) a quel mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi che
egli vide la prima volta il 25 giugno 1899, a Ghiaie di Bonate, quando ricevette
i quattro Ordini Minori, presso don Alessandro Locatelli. Mons. Radini Tedeschi
non era ancora vescovo, Roncalli non era ancora sacerdote. Ma da quel giorno,
anche senza per ora saperlo, cammineranno insieme, e il loro incontro
sarà uno dei più fecondi di quegli anni per la Chiesa
italiana.
CAPORALE E SERGENTE NEL 1901
Roncalli punta sempre sugli uomini. Sa il valore
dei maestri, per un adolescente innamorato di Dio. Nulla è più
efficace, specialmente per un seminarista, della conferma che uomini vivi e
coerenti possono dare alle sublimi lezioni di verità che il seminario
offre. Come ogni buon seminarista di sempre, docile alle consuetudini, Roncalli
si sceglie a modelli di perfezione i santi che sembravano d'obbligo,
specialmente in quegli anni, per i giovani che volessero attuare una autentica
«imitazione di Cristo»: San Luigi Gonzaga, San Giovanni Berkmans, San
Stanislao Koksta.
Fra tre o quattr'anni scoprirà se stesso, e
capirà che nessuno può e deve essere la ripetizione di un altro e
questa scoperta segnerà una svolta decisiva nella sua vita. Intanto resta
in pace, nella ricerca di perfezione, e guarda ai tre santi prescelti come alle
misure perfette del buon cristiano e del buon prete. Già Papa, in una
lettera non rapportata ai modelli prescelti, lo conduce a una sempre più
viva e profonda umiltà, non scevra, in qualche momento, dei colori tipici
di un tradizionale linguaggio da seminario, ma pur sempre preziosa sopra ogni
altra virtù. Già Papa, in una lettera in cui ringrazia don Mario
Giavazzi per un articolo apparso su «Vita e pensiero», rivelerà
lo stesso impegno del seminarista del 1896: «Il vostro articolo mi ha
confuso un poco, e mi fa tentazione per un compiacimento da cui mi debbo
guardare. Dominus respexiti humilitatem servi sui... e basta. Ma voi mi avete
fornito un saggio di analisi psicologica e in uno stile così fine e
perfetto che m'incoraggia a divenire quale mi avete indicato e
supposto».
In seminario, nel 1903, l'anno stesso della
«scoperta» di sé, i termini sono inevitabilmente più
duri: «Sono un povero peccatore, un servo infedele, ed inutile. Sono pieno
di superbia fin sopra i capelli». E ripropone: «I miei princìpi
direttivi restano immutati: umiltà in tutto, specialmente nelle
parole». Il modello giovanile è la personalità e la
virtù dei tre santi che si è scelto; la linea disciplinare,
invece, resta quella classica indicata da sant'Ignazio di Loyola. Roncalli ne
assume esplicitamente l'impegno: «Farò che tutte le mie opere
confermino quel detto tanto ripetuto da sant'Ignazio di Loyola: Ad maiorem Dei
gloriam».
È dal seminario che, nel settembre del 1900, Roncalli fa il
primo lungo viaggio della sua vita, quello da Bergamo a Loreto e ad Assisi. Il 4
ottobre 1962 rievocherà con nostalgia e letizia quel lontano
pellegrinaggio che lo portò a vedere e sentire la realtà della
vita della Chiesa nei luoghi tipici del dominio temporale dei Papi. Andando a
Loreto ed Assisi, passò da Roma. Finalmente poté vedere la
città dove avrebbe voluto andare, tre anni prima, in pellegrinaggio con
lo zio Zaverio. Ma dev'essere stato un contatto brevissimo, se non ne restano,
nel diario, note particolari.
Sono invece frequenti osservazioni e rilievi
di rara immediatezza sulle cose d'ogni giorno, che confermano preponderanti in
lui, insieme ad una istintiva disposizione alla contemplazione interiore, un
realismo che resta spiegato dalle sue origini di figlio e amico della terra. Il
1° settembre 1900, ad esempio, ecco come rende il suo stato di stanchezza
dopo una giornata massacrante: «Mercoledì sera mi trovavo a Bergamo;
ieri sera ero stanco spossatissimo del viaggio fatto da Bergamo a Sotto il
Monte, a piedi, cosa da far cascare il mondo; stanco più per la
cerimonia, con tutto il resto, della benedizione delle campane a Càrvico,
ed ecco la causa delle lacune del mio diario». E il giorno dopo:
«L'altra cosa che avevo da notare ieri sera, era la mancanza di
mortificazione nell'accontentare la gola. Questo è forse sin
troppo».
Tuttavia il viaggio più lungo, l'interruzione della
vita consueta del seminario, consistette per Roncalli nel servizio militare.
Papa Giovanni ha sempre sorriso con nostalgia quando gli è capitato, con
amici o commilitoni, di rammentare i mesi della sua vita di soldato. Questa sua
predisposizione al ricordo e all'aneddoto, ha scatenato una vera e propria
girandola di episodi, molti inventati di sana pianta. Roncalli ha fatto il suo
dovere di soldato semplicemente, come tutti gli altri, dal 30 novembre 1901
quando fu reclutato come soldato di leva di «prima categoria», fino al
30 novembre 1902, quando fu promosso sergente. Il 31 maggio dello stesso anno
era stato promosso caporale. Il «sergente Roncalli» ha fatto gola a
parecchi biografi, ma in realtà offre pochissimi appigli per episodi e
commenti. Quello è stato per lui il compimento di un dovere come tutti
gli altri, assolto con zelo e serenità, e certo anche con un pizzico di
buona ironia, che è sempre rimasta la «valvola» umana
più amabile della personalità di Papa Giovanni.
Un ritratto di Giovanni XXIII eseguito da Angelo Lanzini
IN SEMINARIO A ROMA
Dopo i cinque anni trascorsi nel seminario
maggiore, fu deciso che Roncalli, con Achille Bellini e Guglielmo Carozzi,
lasciasse Bergamo per Roma. Avrebbe beneficiato di una borsa di studio della
fondazione «Flaminio Ceresola», un vescovo bergamasco del 1600. Come
il piccolo Roncalli era potuto entrare in seminario a Bergamo per l'elemosina di
due lire raccolte tra tutti i membri della famiglia, e per la retta pagata da un
sacerdote benefico, il seminarista Roncalli poté entrare a Roma, al
Seminario Romano detto l'Apollinare, per l'elemosina di un mecenate morto alcuni
secoli prima. La sua povertà di ragazzo e di prete è sempre stata
consolata dalla carità di sacerdoti generosi. Egli non lo
dimenticherà; e l'offerta munifica che riceverà, appena eletto
Papa, dalla città di Bergamo, la destinerà subito al seminario
della città.
A Bergamo il giovane Roncalli s'era trovato subito
bene. I primi anni veramente felici della sua vita li ha trascorsi lì. Il
seminario è stato per lui la seconda famiglia, la casa sicura, il luogo
di una formazione semplice, austera, autentica che non perderà mai
più in lui, i suoi caratteri profondi. Ha cominciato lì, oltre
tutto, a trovare finalmente pace come studente. Le fatiche dei campi, gli
strapazzi dei lunghi tragitti quotidiani, le distrazioni inevitabili della vita
in mezzo a una trentina di adulti in tutt'altre faccende affaccendati, com'era
stata quella a Sotto il Monte, avevano ceduto il posto, a Bergamo, alla
consuetudine con coetanei, al contatto con insegnanti di grande valore, alla
possibilità di misurare su un vasto raggio gli uomini eminenti in ogni
senso, le speranze e le attese della sua vita.
Seminario, uguale a caserma:
si è fatta spesso, e tutt'altro che in termini anticlericali, questa
allusiva equazione. I primi a farla, molto probabilmente, sono e saranno sempre
i seminaristi stessi, magari in vena di buonumore. E non è detto che
anche per Roncalli il peso di quella vita e di quella disciplina non fosse
grave.
Il Giornale dell'Anima dimostra, in lunghe pagine circostanziate e
commoventi, che Roncalli riusciva quasi sempre, già da quegli anni, anzi
proprio in quegli anni, a porre le basi di un aspetto costante della sua
personalità: riusciva a fare per amore tutto ciò che diversamente
avrebbe dovuto fare per forza, certo per obbligo. Il futuro Papa Giovanni
realizzava, inconsapevolmente, nella propria disciplina di adolescente, l'elogio
di Chesterton per San Francesco d'Assisi: «Ha fatto tutto da
innamorato».
Don Giuseppe De Luca ha una pagina significativa sulla
vita del seminario, pagina che almeno nei suoi elementi di fondo potrebbe
rendere molto bene la vita di Roncalli nei seminari di Bergamo e di Roma:
«La vita in un seminario trascorre assai semplicemente. Una meditazione al
mattino, ma tutte le mattine; trecentosessantacinque per anno; e cioè nei
dodici anni che si sta in seminario, meditazioni quattromilatrecentottanta.
Altrettante, o poco meno, di prediche. Aggiungi esami di coscienza, letture
spirituali, letture a refettorio, esercizi spirituali due volte l'anno,
ammonimenti, ore e ore di silenzio, etc. Tutto ciò sopra un giovane dai
dieci ai ventidue anni. Si esce a passeggio, sta bene, ma, sino ai ventidue
anni, sempre "in fila" o per lo meno in ordine, per le vie della città.
Si è soggetti per cibo, per sonno, per la corrispondenza, per i libri,
per il corpo per l'anima. Contemporaneamente, con la macchina spirituale e
suggestiva e con la macchina disciplinare e normativa funziona l'altra macchina
non meno imponente delle scuole. Tu esci - per esemplificare - tu esci dal
direttore spirituale, incappi nel rettore. Ti salvi da questo, eccoti dietro il
professore. Eppure, pochi luoghi sono così allegri. Il seminarista -
s'intende qualora sia entrato spontaneamente e spontaneamente ci resti -
è essenzialmente lieto. Non si preoccupa di nulla. È al suo posto: ed
è questa un'impressione talmente rara tra gli uomini! Un seminarista, nel
volto timido e sfuggente, tra spaventato e astratto, ha come nota fondamentale
la contentezza. Se si comincia a ridere in seminario, si dura per serate
intere».
Roncalli era entrato in seminario spontaneamente, e
spontaneamente ci restava. Che abbia imparato proprio lì, nel luogo
ritenuto dai profani il più squallido e disumano della terra, ad
arricchirsi e ad arricchire di letizia costante, di serenità festosa, se
stesso e gli altri?
La diocesi di Bergamo, al tempo in cui Roncalli se ne
stava allontanando per studiare a Roma, rappresentava la punta più
autentica del cattolicesimo italiano. Portava il peso positivo di una tradizione
integerrima di dottrina e di vita cristiana, ma stava diffondendo anche i germi
di una nuova maniera di concepire la partecipazione dei cattolici italiani alla
vita del paese. Ventitré anni prima c'era stata la «breccia di Porta
Pia», con la conseguenza di isolare il Papa, «prigioniero
volontario» in Vaticano, offeso ulteriormente, in un secondo tempo, con la
umiliante «Legge delle Guarentigie», che trattava la Chiesa come una
semplice società privata di tipo più economico che religioso. Il
dissidio era profondo, e il «Risorgimento scomunicato» minacciava di
allargare sempre più l'insanabilità dei rapporti fra la
società civile e la Chiesa.
Il non expedit - cioè la
proibizione del Papa ai cattolici di partecipare alla vita politica -
«né eletti né elettori» - pesava comunque sul
cattolicesimo italiano come una grave limitazione, piena di conseguenze
tutt'altro che positive soprattutto per il futuro. Uomini come il vescovo
Camillo Guindani, Niccolò Rezzara, bergamaschi, sentivano in modo
particolare il disagio del momento, e si trovarono pienamente d'accordo nel
domandare a Pio X la facoltà di superare le pastoie della situazione. Non
era facile per nessuno conciliare in quegli anni la fedeltà alle
direttive del Papa con la necessaria dedizione alle sorti del popolo e del
paese. I cattolici trovavano molto difficile restare una pura presenza religiosa
di maggioranza ed essere, di fatto, un'«assenza» totale sul piano
politico. Il Rezzara scriveva e parlava chiaro: «O cattolici d'azione, o
cattolici da museo!». E insisteva: «Non chiacchiere, ma
fatti!».
Nonostante le realistiche osservazioni del Rezzara, la
situazione era bloccata dal non expedit sotto ogni punto di vista. La provincia
di Bergamo era in questo tra le più fedeli alle direttive del Papa. Ma
era giusto che proprio lì maturassero i fermenti per la nuova ed urgente
interpretazione della storia italiana e del problema sociale del paese. Se nelle
elezioni del 1890 i quattro quinti degli elettori bergamaschi avevano disertato
le urne, in quelle del 1904 tutti avvertiranno nell'aria qualcosa di nuovo.
Sarà proprio San Pio X - il Papa più «somigliante» in
mille aspetti al futuro Giovanni XXIII - il quale, pur avendo risposto a mons.
Bonomelli che la linea da seguire restava quella dell'obbedienza al non expedit
risponderà finalmente all'avvocato Paolo Bonomi, venuto a perorare la
causa del vescovo Guindani e del Rezzara: «Fate quello che vi dice la
vostra coscienza. Il Papa non parlerà».
Con queste parole,
proprio a Bergamo, finiva la stasi obbligata dei cattolici; l'«esercito con
le armi al piede» si rimetteva in cammino, e i cattolici cominciavano a
togliersi di dosso la facile accusa di «nemici della
patria».
Sarà proprio nelle elezioni del 1904 che essi avranno
finalmente il primo deputato. E si tratterà, non a caso, di un deputato
bergamasco. Era Agostino Cameroni.
È difficile poter misurare se e quanto
questi fermenti ed eventi passassero oltre le mura del seminario, per giungere
alla sensibilità e alla coscienza del futuro Papa della Mater et Magistra
e della Pacem in terris. Ma è molto probabile che qualcosa, come un
polline inarrestabile, abbia raggiunto il seminarista tutto inteso a cercare la
propria perfezione spirituale. Fra pochi anni, segretario di mons. Radini
Tedeschi, sarà uno dei primi che in Italia, in quell'epoca, si
schiererà dalla parte dei lavoratori e dei poveri, nel famoso sciopero di
Rànica.
Era l'Anno Santo del 1900, e Roncalli si preparava a partire
per Roma. Gli studi erano andati bene, salvo notevoli difficoltà con le
materie che gli rimasero sempre ostiche: la matematica, la geologia e, in
genere, tutte le materie scientifiche. In compenso s'era innamorato delle
discipline che più lo ponevano in condizione di approfondire la
conoscenza sia del mistero che della storia della Chiesa: la patristica e la
storia ecclesiastica. Non gli era costata nessuna fatica accettare i lati
più difficili della vita del seminario. Si era adattato facilmente al
vitto sempre piuttosto scipito, come in tutti i seminari che si rispettino, e la
disciplina alla fatica l'aveva già esercitata sui campi e in casa, a
Sotto il Monte, negli anni infantili.
Si era molto appassionato alla
teologia e alla filosofia. Aveva rivelato d'avere una bella voce, modulabile e
robusta nello stesso tempo, quella stessa che meravigliò sempre chi la
udì, anche negli ultimi mesi e giorni della sua vita. In seminario aveva
scoperto anche la musica, e resterà sempre ricco di un affettuoso
«campanilismo» nei confronti di Donizetti, del quale spesso amava
risentire, dai dischi le più celebri melodie.
Ammiratore di San Pio
X e futuro amico di Andrea Ferrari, il grande arcivescovo di Milano (che forse
salirà con lui sugli altari), si rifiutò sempre di leggere libri e
opuscoli sul modernismo. Voleva restare fuori della mischia, attento solo a
crescere spiritualmente. Intuiva che soltanto da una profonda vita interiore
può scaturire, al momento giusto, la necessaria modernità delle
idee e delle decisioni. Non a caso sarà il Papa
dell'«aggiornamento», cioè della modernità rinnovata
ogni giorno là dov'è necessaria. Era un «primo della
classe» in molte cose, ma non fece mai pesare questo su nessuno,
perché l'umiltà, da lui sempre scelta come virtù
fondamentale della vita, portava equilibrio e misura in ogni rapporto umano che
stabiliva con gli altri; anche nei rapporti meno facili.
Il seminarista che
stava partendo alla volta di Roma nel 1901 era certamente il più
«bergamasco» di tutti: cioè il più e il meglio intriso
di tradizioni, di gusti, di preferenze locali. A Roma, in pochi anni,
riuscirà a farsi definire il più «romanizzato». Quando
lo assegneranno segretario al vescovo Radini Tedeschi, glielo garantiranno
appunto con queste parole: «È il più romanizzato di tutti». Da
Bergamo aveva portato a Roma il colore e il sapore di una tradizione profonda e
genuina di tipo locale; da Roma avrebbe riportato a Bergamo lo spirito di una
universalità che era già profezia del suo provvidenziale
destino.
Prima di partire per Roma, scriveva nel suo diario: «Dicono e
credono che io sia un minchione. Lo sarò anche, ma il mio amor proprio
non lo vorrebbe credere. È qui il bello del gioco. Ecco qui il bell'argomento
di esercitarmi nella pazienza, nella mortificazione».
E i suoi giorni
romani, tanto per restare fedele alla sua disciplina ascetica, si aprivano con
la consueta meditazione sull'umiltà: «Chi son io, donde vengo, dove
vado?... Io sono il nulla».
PREMIATO IN LINGUA EBRAICA
Anche a Roma si trovò subito bene. Il 28
aprile 1901 scriveva nel diario: «Qui a Roma non mi manca proprio nulla. Se
voglio, non mancano neppure le occasioni di trangugiarmi qualche
mortificazioncella». L'impegno maggiore, giorno per giorno, restava sempre
quello della santificazione progressiva, misurata dell'umiltà: «Chi
sono io? Qual'è il mio nome? I miei titoli di nobiltà quali sono?
Niente, niente! Io sono un servo e nulla più. Nulla mi appartiene,
nemmeno la vita».
Si mise a studiare con maggiore impegno che a
Bergamo. Sapeva di vivere a Roma per la fiducia che si aveva di lui, e per la
munificenza di un vescovo che aveva lasciato solo a questo scopo i proprî
beni. Non era un «minchione», non voleva rubare nemmeno una briciola,
di tempo o di pane, a chi si era fidato di lui.
Nonostante la parentesi
della vita militare - sempre in un certo senso squilibrante per un giovane, e
tanto più per un seminarista - il suo studio non ne risentì; anzi,
si direbbe che i valori dell'esperienza che scoprì in quei mesi lo
arricchirono ulteriormente per rendere sempre più chiara la sua vocazione
religiosa. Il realismo, anche sul piano strettamente spirituale, e la nota
costante ed evidente della sua personalità; nota che si andrà
sempre più sviluppando, fino a diventare un elemento preminente del suo
stile sacerdotale e pastorale, non ultima spiegazione del fascino immediato
esercitato sui più diversi tipi di uomo.
C'era anche il fatto che la
vita militare era tornato a viverla proprio a Bergamo, nel 73° fanteria,
brigata Lombardia, nella caserma «Umberto I». Aveva quindi potuto
operare uno scambio di contatti e di umori che in lui sono risultati sempre
operanti e preziosi, tra gli elementi romani e quelli della tradizione
bergamasca. Il 25 giugno del 1901 aveva conseguito il «baccellierato»
in teologia. E aveva saputo appassionarsi tanto allo studio della lingua ebraica
da ottenere un premio. Papa Giovanni non ha mai tradito la minima ombra di
compiacenza per quanto riguarda le sue doti o i profitti che seppe trarre in
qualsiasi settore della cultura. Semplicemente, ne era felice, come si è
felici di ciò che è un dono, ma un dono che si è fatto
tutto per poter meritare. Anche nella cultura seguì di fatto una norma
che gli fu sempre cara: «Poco, ma bene»; norma che non si stancava di
raccomandare anche agli altri. Perfino da Papa, soprattutto da Papa, gli
è sempre stata sconosciuta, per umiltà ma anche per trasparenza
nativa, l'idea che il Papa debba sapere tutto e poter fare
tutto.
Già in seminario, dette la prova di voler fare e poter fare,
nel migliore dei modi, con tutta la dedizione necessaria, quello che era giusto
e necessario facesse. Nulla di più. Lui che più tardi si
entusiasmerà per La Fontaine, è rimasto fedele alla norma della
più onesta saggezza antica: Ne quid nimis nulla di troppo.
Roma gli
dava la pace, ed insieme un grande entusiasmo interiore. Pensando a Flaminio
Ceresola, a cui doveva la fortuna di poter stare a Roma, scriveva poi, da
Istanbul, nel 1935: «Sia benedetta ed esaltata per sempre la memoria sacra
e soave di Monsignor Flaminio Ceresola! Egli seppe passare modestamente tra i
fascini di un'età fastosa; egli seppe lavorare in profondità, che
è quanto dire più per il futuro che per le immediate soddisfazioni
del presente. È ben così che s'ha da servire la Santa Chiesa. A chi sa
lavorare così sono promesse ed assicurate le corone
immortali».
RONCALLI «SI CONVERTE»
C'è anche nella vita del futuro Papa
Giovanni, in un certo senso, la inevitabile «conversione». L'ha
registrata lui stesso in una pagina che dovrà essere segnata come
indelebile nella meditazione sulla vita dell'uomo più amato del nostro
tempo: quella del 16 gennaio 1903.
Fino a quel momento lo sforzo per
imitare alla lettera i santi che si era prescelti a modello era stato continuo e
sfibrante. Nello slancio di un entusiasmo legato a moduli tradizionali
indiscutibili il giovane Roncalli non vedeva quale rischio stava correndo:
quello di violentare la propria personalità anche là dov'era
necessario svilupparla, e di lacerarsi nel tentativo di somigliare, in tutto e
per tutto, a San Luigi Gonzaga o a San Giovanni Berkmans, o a San Stanislao
Koksta. Per fortuna, la sua sana umanità prevalse, e si fece strumento di
una scoperta elementare e fondamentale d'immenso valore: quella che nella
santità non si può essere che se stessi, nel senso più
dinamico del termine, con in più le grazie di Dio e la docilità
anche eroica, se necessario, alla volontà di lui.
Pochi giorni prima
della grande scoperta, il seminarista annotava nel diario il tormento della
propria incapacità: «O mio San Luigi, o San Giovanni Berkmans, come
vi veggo da lontano, nella vostra unione con Dio! Eppure, bisogna sforzarsi poco
per volta e non inquietarsi mai, come faccio io quando vedo che non riesco a
nulla; anche qui c'è dell'amor proprio. E poi, ho notato un'altra cosa.
Come va che, dopo di aver chiacchierato molto con alcuno anche senza
l'intenzione di guadagnar lode a me stesso, ripensandoci su, mi trovo
nell'amarezza, nello scoramento? È l'amor proprio che lamenta l'amor proprio:
sono le lacrime del coccodrillo».
La «grande scoperta»
avvenne di colpo, con la semplicità con cui le grazie di Dio si fanno
premio a chi più le ha meritate, oltre che attese.
Vale la pena di
riportare per intero la pagina da cui è uscito, come da una crisalide, il
futuro Papa Giovanni: «A forza di toccarlo con mano, mi sono convinto di
una cosa: come cioè sia falso il concetto che della santità
applicata a me stesso io mi sono formato. Nelle mie singole azioni, nelle
piccole mancanze subito avvertite, richiamavo alla mente l'immagine di qualche
santo cui mi proponevo di imitare in tutte le cose più minute, come un
pittore copia esattamente un quadro di Raffaello. Dicevo sempre, se San Luigi in
questo caso farebbe così e così, non farebbe questo o quell'altro,
etc. Avveniva però che io non arrivavo mai a raggiungere quanto mi ero
immaginato di poter fare, e m'inquietavo. È un sistema sbagliato. Della
virtù dei santi io devo prendere la sostanza, non gli accidenti. Io non
sono San Luigi, né devo santificarmi proprio come ha fatto lui, ma come
si comporta il mio essere diverso il mio carattere, le mie differenti
condizioni. Non devo essere la riproduzione magra e stecchita di un tipo magari
perfettissimo. Dio vuole che, seguendo gli esempi dei santi, ne assorbiamo il
succo vitale della virtù, convertendolo nel nostro sangue ed adattandolo
alle nostre singole attitudini e speciali circostanze. San Luigi, se fosse
quello che io sono, si santificherebbe in un modo diverso da quello che ha
seguìto».
Nasceva con lui, quel giorno, un nuovo, tipico
esempio di quella «santità moderna» che Maritain, pochi anni
dopo avrebbe auspicato come la santità da offrire al nostro tempo; la
santità esemplificata nella vita di Teresa di Lisieux e di Charles de
Foucauld. È infatti soprattutto da questo momento che il Giornale dell'Anima
può essere accostato alla Storia di un'anima.
Roncalli era arrivato
a Roma il 4 gennaio 1901. Cominciava per il giovane appassionato di storia della
Chiesa la scoperta, e non solo archeologica, della città-chiave del
cattolicesimo. Ma si stava soprattutto risolvendo un dato di fondo che non
sarebbe più mutato: la scoperta di se stesso. Nel frattempo veniva
ordinato suddiacono l'11-4-1903 in San Giovanni in Laterano e diacono il 18
dicembre, sempre in Laterano, dal card. Respighi. I primi due «ordini
maggiori» li riceveva in quella che un giorno, come vescovo di Roma,
sarebbe stata la sua cattedrale.
Il 13 luglio del 1904 diventava Dottore in
Sacra Teologia. Gli esami furono brillanti, perché la materia gli era
piaciuta fin da quando l'aveva affrontata per la prima volta nel seminario di
Bergamo. All'Apollinare tutto era più solenne, ma non diverso era stato
l'impegno di Roncalli, tanto a Bergamo che a Roma.
All'esame scritto, quel
13 luglio, fungeva da assistente un giovane professore alto, magro, ieratico,
con i grandi occhi scuri assorti ed insieme attenti. Era il professore di
teologia Don Eugenio Pacelli.
PRIMA MESSA A SOTTO IL MONTE
Non tutto l'impegno dell'ascetismo e dello studio,
il giovane Roncalli non trascurava di guardare alla cronaca bollente di quegli
anni. Spesso si sorprendeva distratto dalle cose esteriori, e se ne rammaricava,
ma l'istinto di guardare al mondo e di decifrare i «segni dei tempi»
era già profondo nel seminarista d'inizio del secolo. Un secolo era
finito, e con il secolo il potere temporale dei papi era tramontato. Colui che
un giorno avrebbe spalancato le «porte» e le «finestre»
della Chiesa, non era insensibile, nemmeno da adolescente, ai maggiori
avvenimenti della storia profana. Che cosa avrebbe significato il nuovo secolo
per la Chiesa? Se lo domandava anche lui, specialmente in occasione del viaggio
a Roma di qualcuno dei più illustri protagonisti della storia di quegli
anni.
Così l'8 maggio 1903 commenta, nel diario, la visita
dell'imperatore Guglielmo a Leone XIII: «I ripetuti festeggiamenti in onore
dell'imperatore Guglielmo, volere o no, furono argomento di distrazione. Il
brillante passaggio della pompa mondana nel suo più alto fastigio, mi ha
abbagliato la vista, tanto da rendermi più difficile il raccoglimento
interiore. Questo avvenimento così straordinario e di una portata
così elevata - poiché è un vero tratto della divina
Provvidenza, un vero trionfo del papato, questo di un imperatore protestante che
dopo tante lotte ascende le scale del Vaticano con una solennità ed uno
splendore più unico che raro, si umilia dinnanzi alla grandezza del trono
pontificale - se, per noi giovani specialmente, deve essere motivo di lietissime
speranze e di pura gioia, d'altra parte più che distrarci deve nobilitare
il concetto che noi di Dio, di Gesù Cristo, vero Re della Chiesa e dei
secoli... Ora anche l'imperatore, applaudito, ammirato, lui che se non fosse
eretico sarebbe il Carlo Magno dei tempi moderni, è tornato a Berlino, a
casa sua e le cose sono ritornate allo stato quo.».
Cultura del tempo,
mentalità degli anni immediatamente successivi alla fine del potere
temporale dei Papi, sono evidenti in queste annotazioni di un adolescente
entusiasta, già sulla soglia del sacerdozio; ma tutto è reso
trasparente dal senso della precarietà di quella gloria e di quel potere
che anche il seminarista Roncalli non ha mancato, per un istante, di guardare
con tale entusiasmo da distrarsi dal proprio raccoglimento
interiore.
Quattro anni di soggiorno a Roma furono per Roncalli soprattutto
di studio e di preghiera. Non è un modo di dire. Con i compagni
bergamaschi Ballini e Carozzi, decisero di ricominciare da capo il corso di
teologia; Roncalli, benché fosse il più giovane dei tre, era il
più avanti nel profitto scolastico, ma non abbandonò gli amici, e
ricominciò a studiare con loro. Il dottorato in teologia, il premio in
lingua ebraica furono segni esterni dell'impegno con cui gli studi furono
compiuti.
Si è detto che era uno «sgobbone». Non è
vero. Lo studio della teologia gli era congeniale, e rappresentava in lui
l'impegno più entusiasmante. dopo quello della preghiera e della
perfezione interiore. Studiava con serenità, amico di tutti, disposto ad
aiutare chiunque, e prodigandosi anche nell'impegno di «prefetto» dei
chierici teologi più piccoli che gli fu affidato nel
1902.
D'altronde, mai era tanto felice come quando poteva scoprire in
uomini esemplari la santità della vita e la profondità della
cultura, specialmente se si trattava di cultura riguardante la storia
ecclesiastica. Scoprì proprio negli anni dell'Apollinare gli Annales del
cardinale Cesare Baronio, il discepolo prediletto di San Filippo Neri. Se ne
innamorò talmente che più tardi, per il proprio stemma
pontificale, sceglierà a motto una famosa frase del Baronio stesso:
Oboedientia et pax: Obbedienza e pace.
Di don Eugenio Pacelli, che veniva
spesso all'Apollinare, specialmente in occasione di sessioni di esame, tutti
dicevano già meraviglie. Contribuiva a questo, senza dubbio, nella mente
di seminaristi normali, il fatto che quel sacerdote silenzioso e coltissimo
fosse un nobile, e che si sapesse come non gli era stato possibile vivere una
normale vita di seminario a causa della salute cagionevole. La cultura di
quell'uomo era vastissima, e incuteva rispetto e ammirazione nei maestri e nei
discepoli. Ma difficilmente, già da allora, si sarebbero potuti trovare
due temperamenti più diversi. Roncalli, robusto e rotto a tutte le
discipline del seminario, non guardava con calcoli di nessun genere al proprio
futuro. Provava per don Pacelli l'ammirazione che provavano tutti. Ma certo non
avrebbe mai sognato di dovergli succedere sulla Cattedra di San Pietro, quasi
sessant'anni dopo, la sera del 28 ottobre 1958.
Il 10 agosto 1904 fu
ordinato sacerdote nella chiesa di Santa Maria in Monte Santo, una delle due che
si affacciano su Piazza del Popolo. Fu ordinato da Mons. Giuseppe Ceppetelli,
Patriarca titolare di Costantinopoli. Fu col suo sacerdozio che rinnovò
l'incontro, festoso e commosso, con il mondo di Sotto il Monte e di Bergamo.
Dopo essere stato arricchito in tutti i sensi da quattro anni di esperienza
romana, tornava al paese e alla città natale per iniziare, tra lo
scampanio giulivo delle chiese amate, un ministero che doveva culminare nella
pienezza del sacerdozio e del pontificato.
Tornava spesso e volentieri ai
ricordi dell'ordinazione sacerdotale e delle circostanze augurali che
l'accompagnarono. Quand'era Patriarca di Venezia, celebrandone il cinquantesimo
anniversario raccontò l'incontro che l'indomani aveva avuto con San Pio
X: «Miei buoni figlioli, permettetemi un soave ricordo di mezzo secolo fa.
Nei giorni precedenti l'Assunta del 1904, fatto io sacerdote il 10 agosto, venni
ricevuto in udienza dal Santo Padre Pio X, e, ascoltai parole che furono e
restano benedizione ed incoraggiamento nel mio sacerdozio. In quella
circostanza, dopo di aver posato ambo le mani sul mio capo, e congedatomi, il
santo Pontefice ritornò ancora sui suoi passi ed amabilmente mi
domandò: "E quando canterete la messa al vostro paese?". - "La festa
dell'Assunta, Padre Santo" - risposi. - L'Assunta - riprese lui con la sua voce
melodiosa - che festa! E che suonare, quelle campane bergamasche, che
suonare!...».
L'11 agosto don Roncalli, sacerdote novello,
celebrò la sua prima messa nelle Grotte Vaticane. Scendeva, colmo di
gioia e di attesa, sulla tomba di Pietro. Un giorno, sull'altare sfolgorante che
troneggia su quella tomba, avrebbe aperto il Concilio più decisivo dei
tempi moderni; e, nemmeno un anno dopo, vi sarebbe ancora disceso a dormire il
sonno dei santi, accanto al suo predecessore Pio XII.
Il 15 agosto era a
Sotto il Monte per la prima messa. In un paese la prima messa di un figlio della
terra è festa per tutti. Le campane bergamasche non smettevano di
suonare. Lì, dove era stato battezzato poche ore dopo la nascita, davanti
alla gente che conosceva tutta, uno per uno, e di cui mancavano i più
vecchi e c'erano volti nuovi di bimbi, iniziava il suo ministero. Sua madre e
suo padre, commossi e senza parola, scoprivano d'aver avuto ragione a lasciare
che quel ragazzo abbandonasse i campi e tentasse la grande avventura. E don
Roncalli era certamente più emozionato e felice in quel momento che
durante le prime messe dei giorni precedenti.
Quel giorno fece anche la sua
prima predica. Doveva parlare dell'Assunta, patrona del suo paese. Era dottore
in teologia? Pare facesse davvero una predica da teologo, perché
restò un po' difficile nel linguaggio. E forse fu soprattutto la
difficoltà di quel linguaggio a far misurare ai presenti il cammino che
il piccolo Roncalli aveva fatto in così poco tempo. Ma era una
difficoltà che sarebbe durata poco. Via via che gli anni fossero passati,
don Roncalli avrebbe ulteriormente approfondito la propria cultura, ma avrebbe
anche semplificato, a contatto con gli uomini e gli avvenimenti, il proprio
linguaggio. Non solo sarebbe stato in perenne dialogo con gli umili e i
semplici, con immediatezza e serenità penetrante, ma avrebbe sempre
meglio saputo interrogare i maestri della storia, in modo particolare della
storia della Chiesa.
È a questo punto, nella luce del suo esordio
sacerdotale, che la fantasia popolare non si rassegna a rifiutare episodi e
battute che sembrano indubbiamente degne di lui ed a lui congeniali, ma che
difficilmente gli si possono attribuire. La «leggenda» è nata
subito, nei suoi confronti, come è nata, dalla sua vita, la vera e
propria «fiaba». Gli aneddoti non si contano più. Qualcuno
vuole che il medico condotto del villaggio, dopo la sua prima messa, abbia
commentato: «Adesso non gli resta che diventar Papa!». Ma forse era
solo una frase scherzosa.
Altri vogliono collegare con quella festa paesana
un episodio, forse nemmeno questo autentico, che in realtà sarebbe
avvenuto due anni dopo, il 29 gennaio del 1906, nella chiesa di Sant'Alessandro
di Bergamo, dove don Roncalli avrebbe dovuto tenere un discorso. Si dice che
prendesse in disparte il sacrestano, un certo Manzù, e gli raccomandasse,
prima di salire sul pulpito: «Mettiti dietro di me, sulla scaletta del
pulpito, e se vedi che parlo troppo difficile, tirami la veste».
La
vacanza al paese durò poco. Don Roncalli dovette ripartire presto per il
suo seminario romano. Là doveva fungere da «prefetto» ai
seminaristi e, nello stesso tempo, si sarebbe specializzato in Diritto Canonico,
come voleva la tradizione dell'Apollinare. I suoi sogni erano quelli di fare il
prete, il buon prete, soltanto il prete. Se una preferenza aveva, non la nascose
mai: avrebbe voluto occuparsi dei giovani. Gli sarà permesso per un breve
tempo, proprio a Bergamo, dove diventerà anche direttore spirituale del
seminario. Ma le vie della Provvidenza erano diverse, ed egli ricomincerà
presto a percorrere il mondo. Più lontano andrà, più, senza
saperlo, si riavvicinerà a Roma per la sua grande ora misteriosa.
È
del giorno della sua prima messa, l'11 agosto 1904, questa riflessione annotata
nel diario: «L'indomani, ecco di nuovo il caro vicerettore che mi conduce a
San Pietro per celebrarvi la prima messa. Quante cose mi disse quella gran
piazza quando l'attraversai! Tante volte ero passato di là sempre
commosso: ma quella mattina...»
A novembre del 1904, riprese gli studi
a Roma, frequentando i corsi di diritto canonico all'Apollinare.
Il 29
gennaio del 1905, nella Cappella Sistina, San Pio X consacrava vescovo di
Bergamo mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi, colui che il seminarista Roncalli
aveva fuggevolmente conosciuto a Ghiaie di Bonate il 25 luglio 1899. Don
Roncalli era stato nominato suo segretario. Tornerà con lui a Bergamo.
Durante la cerimonia della consacrazione del vescovo, egli tiene il libro dei
Vangeli sulle spalle del consacrato, secondo il rito.
Per dieci anni, in
un'ora difficile e esaltante, vescovo e segretario porteranno insieme il
«peso» del Vangelo, il «giogo» della legge di Cristo, dando
esempio straordinario di dedizione reciproca, di fedeltà e di
carità, di rassegnazione e di coraggio che segnerà, soprattutto
per il novello prete, il punto più impegnativo della sua giovinezza
sacerdotale.
Dieci anni di sodalizio esemplare, nei quali il vescovo
s'arricchirà dell'esempio del suo segretario e il segretario
respirerà nell'esempio del suo vescovo lo stile e lo spirito che lo
distingueranno poi per sempre nell'incontro con gli uomini.
Una sua cara
conoscenza, il parroco-cardinale Giulio Bevilacqua, scriverà, subito dopo
la sua morte, qualcosa di simile a quello che il Schwarz-Barth ha scritto di un
uomo «giusto»: «Questo ha fatto Papa Giovanni: si è
levato, è tramontato, ha fatto esultare le anime».
La chiesa di Santa Maria di Brusicco dove viene battezzato Angelo Roncalli.